Anche se dovrebbe essere un gesto naturale, per alcune persone ingerire in sicurezza cibi liquidi o solidi, e persino saliva, può essere talmente problematico da non riuscire ad alimentarsi in modo sufficiente a nutrirsi.
Chi ne soffre avverte la sensazione di una sorta di blocco in gola come se stesse per strozzarsi e la paura che possa realmente accadere porta al rifiuto del cibo.
Questo disturbo, chiamato disfagia, colpisce il 35% circa dei bambini e 4 anziani su 10. E’ una patologia molto diffusa, quindi, anche se la disfagia è un sintomo non sempre prontamente riconosciuto e molto spesso sottovalutato.
Le cause sono varie ma alla base c’è un alterato controllo dei nervi e della coordinazione dei muscoli di bocca e gola che può portare, nei casi più lievi, solo ad un rallentamento della deglutizione ma, in quelli più gravi, si può verificare il passaggio di cibo e/o di liquidi nel canale respiratorio con conseguenze anche molto serie.
La presenza di cibi nelle vie aeree si manifesta in modo evidente con senso di soffocamento, tosse insistente e comparsa di colorito rosso del volto. Può essere anche silente, nei casi in cui piccole quantità di cibo raggiungano i bronchi senza che la persona avverta sintomi. Non per questo è meno grave: se il cibo non viene rimosso può causare la cosiddetta polmonite ab ingestis.
La sensazione che parte del cibo resti in gola provoca poi un allungamento del tempo dedicato al pasto e il progressivo cambiamento delle abitudini alimentari.
Ai primi sintomi, bisognerebbe rivolgersi al proprio medico che magari indirizzerà al logopedista, lo specialista maggiormente coinvolto nella valutazione e rieducazione della disfagia.
L’assistenza alla persona disfagica prevede alcune semplici regole.
In primis attenzione alla tosse durante i pasti specie se insistente. L’acqua è spesso l’alimento più difficile da ingerire ed andrebbe addensata con gli appositi gelificanti. Purè, passati e tutti i cibi a consistenza omogenea sono da preferire alla pastina in brodo, molto servita nei reparti ospedalieri e case di riposo, che però è un alimento che crea difficoltà in quanto unisce cibi di consistenza diversa.
Verificare la postura durante i pasti che deve presentare il giusto allineamento di capo, collo e tronco. Anche le persone allettate devono sollevare il busto durante i pasti e cercare di mantenere la posizione per almeno un’ora dopo. Apporto calorico e idratazione vanno monitorate perché sono spesso carenti nelle persone disfagiche e se non adeguatamente controllate possono comportare stati di malnutrizione con un peggioramento delle condizioni generali, a qualsiasi età.
Negli anziani la disfagia è spesso colpa dell’assunzione di molti farmaci. Uno studio italiano, presentato al 6° Congresso Europeo dei Disturbi della Deglutizione, ha mostrato che l’87% degli anziani che risiede in Residenze Sanitarie Assistite assume ogni giorno da 1 a 4 farmaci che potenzialmente possono alterare la deglutizione tramite tre meccanismi:
- riduzione della produzione di saliva per effetto collaterale del farmaco stesso;
- complicanze dovute all’azione del farmaco come per i narcotici che, agendo sul sistema nervoso, riducono vigilanza e attenzione;
- danni alla parete esofagea causati da alcuni antidolorifici, spesso usati per lunghi periodi.
Negli anziani che assumono tanti farmaci è importante quindi monitorare la funzione deglutitoria per intervenire ai primi sintomi.
I problemi di deglutizione sono più diffusi di quanto si pensi. L’obiettivo primario della loro gestione è mettere in atto strategie per rendere la deglutizione più efficace, facile e sicura, anche tramite l’assunzione di cibi di consistenza adeguata per evitare problemi di crescita nei più piccoli e la malnutrizione in disabili e anziani.
Agire sulle cause non sempre è possibile. Le cause più frequenti sono conseguenze di traumi cerebrali e vertebrali, ictus e tutte le patologie che alterano la funzionalità muscolare, come Parkinson, Sclerosi Multipla, SLA.
Nei bambini la disfagia è comune, almeno temporaneamente, nei nati pretermine e si presentano come un disturbo grave e persistente nelle malattie congenite come la sindrome di Down e tutte le patologie che comportano problemi motori.
Dr.ssa Fiammetta Trallo
Medico Chirurgo Specialista in Ginecologia e Giornalista della Salute