Fare ricerca scientifica nello spazio, oltre che migliorare le attuali conoscenze biomediche sulla salute degli astronauti durante le missioni, consente di acquisirne altre da utilizzare anche sulla terra nella vita quotidiana.
I risultati degli esperimenti biomedici condotti in condizioni estreme, come quelle della microgravità, potrebbero in un prossimo futuro essere applicati anche in situazioni critiche sul nostro pianeta.
Le missioni spaziali sono, infatti, dei veri e propri laboratori di innovazioni continue che hanno importanti ricadute concrete in vari ambiti, dalla medicina alla sicurezza. La Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è un grande laboratorio spaziale orbitante intorno alla terra, che assicura la continua presenza umana nello spazio per condurre svariati esperimenti di ricerca scientifica e tecnologica in vari campi: chimica, biologia, medicina e fisiologia.
L’obiettivo della recente missione VITA, acronimo di Vitality, Innovation, Technology, Ability, svolta da luglio a dicembre 2017 dal nostro astronauta Paolo Nespoli a bordo dell’ISS, è stato quello di verificare gli effetti biologici sull’uomo di lunghe permanenze nello spazio anche in vista di futuri viaggi verso Marte. Per questa missione l’Agenzia Spaziale Italiana, in collaborazione con la Nasa, ha selezionato 11 esperimenti, molti dei quali biomedici ed alcuni tecnologici.
Il progetto In Situ-Bioanalysis, progettato dal team di ricercatori diretto dal Prof. Aldo Roda (Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” Alma Mater Studiorum, Università di Bologna), sia per l’originalità sia per la sua reale utilità, ha ricevuto il più alto punteggio di valutazione tra gli esperimenti approvati per la missione.
«Abbiamo ideato e costruito – spiega il Prof Roda – un piccolo biosensore portatile, semplice ma ipersensibile, in grado di analizzare parametri biologici dei membri dell’equipaggio a bordo dell’ISS. La novità è che il biosensore analizza la saliva e invia i risultati a terra, in tempo reale, tramite un lettore portatile collegato ai computer della ISS. Questa modalità permette di poter fare diagnosi precoce di eventuali disturbi che possono insorgere durante la permanenza nello spazio consentendo agli astronauti, le cui missioni durano spesso alcuni mesi, di ricevere in modo tempestivo gli opportuni consigli medici. Generalmente le analisi chimiche di determinati parametri, indicativi dello stato di salute dei membri dell’equipaggio, vengono svolte tramite raccolte di campioni di fluidi biologici durante la missione che devono poi essere conservati e spediti a terra per le successive analisi, rallentando notevolmente la diagnosi di eventuali disturbi acuti. La disponibilità di dispositivi analitici semplici e rapidi da utilizzare “in situ” permette, inoltre, di studiare, direttamente a bordo della ISS, come alcuni parametri biomedici possano alterarsi in condizioni di microgravità».
«Il dispositivo è stato pensato per lo spazio – aggiunge Roda – ma potrà in futuro essere utilizzato anche sulla terra per fare analisi in tempo reale, al letto del paziente, in ambulanza e nella medicina d’urgenza anche nei Paesi in via di sviluppo o in zone remote o isolate come l’Antartide».
«Abbiamo messo a punto un sistema di analisi in grado di funzionare in condizioni di microgravità. In questa missione – commenta la Prof.ssa Mara Mirasoli – Nespoli ha utilizzato in prima persona il biosensore per monitorare i valori di cortisolo, un biomarcatore dello stress. I risultati sono stati positivi e il dispositivo ha funzionato in tutte le cinque volte che è stato usato. Stiamo già lavorando per migliorare la performance del biosensore sia per allargare il possibile ventaglio di analisi sia per utilizzare altri materiali biologici come urine e sangue. In poche parole, pensiamo di poter arrivare a mettere a punto un vero e proprio laboratorio tascabile».
«La riuscita del progetto – ha spiegato la Dott.ssa Martina Zangheri – è anche merito della collaborazione con Altec SpA di Torino per gli aspetti tecnici e logistici e Kayser Italia di Livorno per la gestione dei contatti con la NASA per le problematiche legate alla sicurezza e alla documentazione relativa alla spedizione della strumentazione nello spazio. A causa di questo protocollo difficoltoso, il bionsesore è rimasto dentro l’ISS, pronto per essere riutilizzato nelle nuove missioni per indagare le modifiche dei parametri biologici a migliaia di chilometri dalla terra. Abbiamo, inoltre, già progettato uno strumento più piccolo e manegevole che può inviare i risultati direttamente ad uno smartphone».
Dr.ssa Fiammetta Trallo
Specialista in Ginecologia e Ostetricia e Giornalista pubblicista