Sono poche le informazioni in possesso delle donne e le opzioni che offrono i ginecologi di fronte a una diagnosi di infertilità; molte, invece, sono le paure che si provano all’idea di diventare genitori.
Di questo si è parlato durante la tavola rotonda dell’Istituto Valenciano per l’Infertilità (IVI) “Essere mamma oggi”, durante la quale è stato presentato un sondaggio, commissionato da IVI e condotto da IXE’ su un campione di 600 persone tra i 25 e i 44 anni, sui temi dell’infertilità, della fecondazione assistita e della genitorialità.
Anche il social freezing è stato oggetto del sondaggio: si tratta della possibilità per le donne di far congelare, in azoto liquido a -196 °C, i propri ovociti, in modo da mantenerli giovani e nelle migliori condizioni, per poter accedere successivamente alle procedure di procreazione medicalmente assistita qualora non si riesca a concepire in modo fisiologico.
Ma perchè ricorrere a questa tecnica di crioconservazione degli ovuli? A scopo precauzionale, per ragioni di salute, ovvero quando si teme di poter avere problemi di infertilità futuri, o quando, pur volendo un figlio, ci si deve purtroppo sottoporre a cure invasive nell’immediato, ad esempio terapie antitumorali, cure che potrebbero minare la fertilità.
Ma anche per ragioni “sociali”: si tende, infatti, a procrastinare sempre di più l’età in cui si decide di voler affrontare una gravidanza, per ragioni di studio, professionali, economiche o per via della difficoltà ad incontrare l’anima gemella.
Ma com’è la situazione in Italia? Nel nostro paese solo il 17% degli intervistati sa che si può accedere al “social freezing”; il 37% non sa che si pratichi in Italia e il 20% crede che sia una pratica consentita. Il 23% degli intervistati vede come una chance positiva il ricorso alla crioconservazione degli ovociti per motivi professionali, ma la motivazione predominante è legata a terapie o a malattie che potrebbero portare alla sterilità.
«Oggi, attraverso il social freezing, una donna può avere un’opportunità in più non solo in caso di infertilità ma anche se decide di procrastinare la maternità per motivi professionali o personali o magari perché non ha ancora un compagno – commenta Daniela Galliano, direttrice del Centro IVI di Roma -. I dati dell’indagine e la pratica clinica mostrano come sia ancora poco conosciuta in Italia ma l’atteggiamento di apertura che è emerso rappresenta un segnale incoraggiante».