Quest’anno, a causa della pandemia, l’Istituto Superiore di Sanità ha emanato alcune linee guida che tutti gli istituti scolastici, di ogni ordine e grado, sono tenuti a rispettare per un rientro a scuola in sicurezza e per limitare il più possibile le probabilità di contagio.
Tra tutte le indicazioni, la più importante è quella che prevede, prima di recarsi a scuola, la misurazione della temperatura corporea con un termometro. Se i ragazzi hanno la febbre oltre i 37,5° non potranno andare a scuola, e dopo tre giorni di assenza, per rientrare, sarà necessario il certificato medico.
Tra le regole a cui sono tenuti i più piccoli, anche quella di non portare da casa i propri giochi, ma di usare esclusivamente quelli messi a disposizione dalla scuola perché regolarmente sanificati, senza scambiarli e condividerli con gli altri compagni. Inoltre, non si possono abbracciare gli altri bambini, né le maestre. L’obbligo della mascherina, invece, varia a seconda delle possibilità di distanziamento attivate da ogni istituto; in alcuni plessi i ragazzi potranno abbassare la mascherina restando seduti al proprio banco, ma dovranno posizionarla correttamente su naso e bocca qualora si dovessero muovere per la classe o nei corridoi; in altri istituti, invece, è obbligatorio indossarla durante tutta la permanenza a scuola.
Una regola di buon senso generale, semplice e che tuttavia limita in parte la propagazione di virus e batteri, è quella di lavarsi spesso le mani con acqua e sapone.
In realtà, assodate alcune regole basilari, le modalità con le quali viene attuato il distanziamento tra alunni, all’interno delle classi, varia a seconda dell’ampiezza delle stesse e del numero degli studenti che seguono le lezioni in presenza. Per favorire una corretta distanza tra le postazioni, molte scuole hanno optato per una didattica mista, effettuata suddividendo le classi più numerose in gruppi che si alternano frequentando in parte in presenza e in parte tramite collegamenti di didattica a distanza.
Aldilà delle diverse soluzioni adottate, però, è importante ripristinare, insieme a regole senz’altro ancora utili in questa fase di rientro per evidenziare e trattare per tempo potenziali focolai che si dovessero attivare all’interno delle scuole, anche un utilizzo sensato dei presidi sanitari, sulla base di quanto ad oggi sappiamo a proposito delle modalità di trasmissione del virus.
Pare assodato, infatti, che i bambini e gli adolescenti siano in realtà molto meno esposti a contrarre forme importanti e gravi di Sars Cov-2: bambini e giovani sotto i 20 anni, oltre ad essere molto spesso asintomatici, si stima che abbiano una suscettibilità all’infezione pari a circa la metà rispetto a chi ha più di 20 anni. Lo evidenziano, tra gli altri, anche i risultati di una ricerca pubblicata su Nature Medicine, che ha sviluppato modelli di trasmissione del Covid-19 sulla base di dati provenienti da 6 paesi, inclusa l’Italia. Inoltre, le evidenze scientifiche disponibili, come chiarisce l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), indicano che nei pazienti pediatrici l’infezione causata da SARS-CoV-2 si manifesta con un andamento clinico più favorevole. Finora, i dati pubblicati sul bollettino dell’ISS riportano in effetti 4 decessi sotto i 9 anni – bambini che purtroppo presentavano già altre patologie importanti – e nessuno tra i 10 e i 19 anni.
Ecco perché, in realtà, nell’applicare correttamente i protocolli che limitano il contagio nelle scuole, bisognerebbe però anche tener conto di queste evidenze, bilanciando la necessità di socializzazione, fondamentale soprattutto in certe fasce d’età in cui la funzione primaria della scuola è proprio quella di avviare i più piccoli ad un rapporto corretto con i coetanei e con l’adulto di riferimento più che quella puramente didattica, con l’esigenza di accoglierli in un ambiente sicuro e a prova di Covid. Oltretutto, finora, le osservazioni svolte nei Paesi che hanno riaperto le aule indicano che, almeno dove l’epidemia è sotto controllo, i bambini non sembrano veicolare la malattia in modo così efficiente.
Corre in questo momento quindi l’obbligo di non pensare alla riapertura delle scuole solo in termini di “prevenzione sanitaria”, puntando tutto su mascherine e distanziamento, ma anche in termini di prevenzione di quei disturbi emotivi e comportamentali che regole eccessivamente rigide o mal applicate potrebbero causare nei bambini e negli adolescenti, già messi a dura prova da un lockdown che ha determinato, di fatto, l’interruzione forzata della socializzazione per mesi.
Ormai i dati della letteratura scientifica lo dicono chiaramente: le esperienze dei primissimi anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale, perché è proprio nei primi due-tre anni che si gettano le fondamenta neurobiologiche di competenze cognitive: logiche e linguistiche oltre che relazionali. E ci dicono anche che se da un lato il ruolo della famiglia in questo sviluppo è predominante, è decisamente rilevante anche quello dei servizi educativi, per esempio i nidi e le scuole d’infanzia. Per anni la gestione dei fondi pubblici ha ridotto le risorse destinate la qualità dei servizi e la centralità del ruolo dell’educazione scolastica. Ora ci auguriamo tutti che, insieme a regole da seguire pedissequamente per limitare la diffusione del Covid, arrivino dal Ministero anche soluzioni di lungo periodo per migliorare l’accessibilità al sistema scolastico, il livello di adeguatezza della didattica, incrementare il corpo insegnanti e migliorare gli istituti stessi, dando un senso anche ai sacrifici che ognuno di noi, a partire dai bambini e dai ragazzi, sta facendo per attivare comportamenti corretti che salvaguardino tutti pur non rinunciando alla frequenza scolastica.