Prof. Giancarlo Isaia, Specialista in Endocrinologia, Medicina Interna e Medicina Nucleare del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino.
L’Accademia di Medicina di Torino ha istituito un gruppo di lavoro, coordinato dal suo Presidente, il Prof Giancarlo Isaia, da Antonio D’Avolio, Professore di Farmacologia all’Università di Torino, e composto da 71 Medici di molte città italiane, con l’intento di fornire un utile contributo ed un supporto scientifico alle Istituzioni per contrastare la pandemia da COVID-19. L’Accademia ha iniziato a ragionare sul legame tra Coronavirus e Vitamina D a partire da uno studio che metteva in relazione raggi solari ultravioletti e mortalità per Covid.
Come spiega il Prof. Isaia: «Abbiamo svolto un lavoro in collaborazione con Arpa ed Enea, in cui abbiamo valutato l’intensità dei raggi ultravioletti in Italia. Lo studio ha esplorato la possibilità che l’evoluzione dell’epidemia COVID-19 veda coinvolti, tra i molteplici meccanismi di trasmissione, non solo l’interazione tra le persone, ma anche alcuni fattori ambientali: per questo, è stata valutata la diffusione spaziale dell’epidemia in Italia durante il periodo della sua prima ondata (febbraio-maggio 2020), caratterizzata da un maggior impatto nelle regioni settentrionali. A questo proposito è stata evidenziata una correlazione, statisticamente molto significativa, fra il numero di decessi e di pazienti affetti da COVID-19 in ciascuna regione italiana e l’intensità della radiazione ultravioletta (UV) solare, valutata alla superficie terrestre, in tutte le regioni. Dallo studio è emersa un’interessante correlazione: una minore mortalità si è verificata là dove c’era una maggior concentrazione di raggi ultravioletti di tipo B, quelli che sintetizzano la Vitamina D nel nostro organismo. L’esempio più significativo riguarda Lampedusa e Bolzano, messe a confronto sia singolarmente (sui rispettivi numeri di infetti e decessi) sia su scala nazionale, ed il risultato è stato incontrovertibile: man mano che si procedeva da sud verso nord, il numero di persone contagiate e decessi saliva esponenzialmente. Inoltre, la curva dei decessi a maggio è improvvisamente calata per tutta l’estate ed è ricominciata a salire ai primi di ottobre. L’ipotesi è che i raggi UVB abbiano avuto un effetto diretto sul virus nel periodo estivo, tant’è che durante l’estate gli assembramenti erano all’ordine del giorno ma non hanno causato mortalità, ma anche che le radiazioni solari, favorendo la sintesi di Vitamina D, ne promuovano le proprietà immunomodulanti, attribuendole un ruolo come antagonista dell’infezione e delle sue complicanze cliniche».
Ora, è noto che i raggi ultravioletti servano ad immagazzinare Vitamina D nell’organismo durante la stagione estiva, e a rilasciarla man mano, fino ad andare in esaurimento e in eventuale carenza, durante i periodi successivi, e sembra confermata una relazione tra raggi solari e mortalità per Covid, ma quale legame esiste tra Covid-19 e Vitamina D? L’Accademia di Medicina di Torino ed il Prof. Isaia hanno voluto approfondire…
«Ad oggi possiamo contare circa 300 lavori, editi nel 2020, aventi per oggetto il legame tra Covid-19 e Vitamina D, i quali hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da COVID-19, soprattutto se in forma severa, in associazione ad una più elevata mortalità. Come sappiamo, la principale sorgente naturale di Vitamina D è costituita dalla produzione endogena del colecalciferolo (Vitamina D3) a livello della pelle. Più che una Vitamina, in effetti, la D è in realtà un ormone prodotto dalle cellule cutanee irradiate dal sole a partire dal colesterolo. Attraverso il circolo ematico passa nel fegato e nei reni che la rendono attiva, per poi terminare il suo viaggio nell’intestino dove cattura il Calcio e lo fissa a livello osseo. Forse, però, non tutti sanno che la Vitamina D svolge anche un’importante azione nell’attivare e modulare il Sistema Immunitario, protegge il sistema nervoso da patologie degenerative, il pancreas dal diabete senile etc. In realtà, la Vitamina D potrebbe essere sintetizzata in quantità adeguate dalla maggior parte delle persone, se sufficientemente esposte alla luce solare, ma solo in Italia circa il 70% della popolazione anziana presenta carenze di base quanto a Vitamina D, e questo non solo perché gli anziani, per stile di vita, tendono ad esporsi meno ai raggi solari, per via di un inevitabile invecchiamento cutaneo che comporta una maggior fragilità ed indebolimento della pelle, ma anche a causa di una minor efficienza nel funzionamento di tutti gli organi, cute inclusa, connesso alla naturale senescenza.
Sulla base dei risultati degli oltre 300 lavori pubblicati nell’ultimo anno, quindi, ci sentiamo di affermare che, anche se sono necessari ulteriori studi controllati, la Vitamina D sembra più efficace contro il COVID-19, sia per la velocità di negativizzazione sia per l’evoluzione benigna della malattia in caso di infezione, se somministrata con obiettivi di prevenzione soprattutto nei soggetti anziani, fragili e istituzionalizzati.
Per attivare una prevenzione primaria, bisognerebbe quindi fornire alla popolazione, in deficit di Vitamina D, dosi di colecalciferolo, in relazione ai livelli basali dei pazienti, e fino a 4.000 UI/die, anche perché la Vitamina D non risulta tossica anche quando assunta in alte dosi. In ambito TERAPEUTICO, infatti, gli studi randomizzati indicano l’utilità di un’unica somministrazione in bolo di 80.000 UI di colecalciferolo (N° 4, Annweiler G et al.), oppure di calcifediolo (0,532 mg il 1° giorno, 0,266 mg il 3°, il 7° giorno e poi una volta alla settimana) (N° 2, Castillo ME et al.), oppure ancora di 60.000 IU di colecalciferolo per 7 giorni.
La supplementazione in caso di carenza (che in Italia riguarda il 76% dei soggetti over 60), sembra dunque porsi come importante strumento per rinforzare il Sistema Immunitario e al contempo abbassare il livello di infiammazione cronica, due tra gli effetti biologici meno noti ma più importanti del calcitriolo, che perlopiù viene considerato in relazione alla sua capacità di promuovere la crescita fisiologica dello scheletro ed il rimodellamento osseo e alla capacità di ritardarne la degenerazione con l’avanzare dell’età. In questo senso, la Vitamina D sembrerebbe dunque agire su due tra le leve più importanti nella lotta al Covid, ovvero l’efficienza del Sistema Immunitario, in fase di reazione al virus, e la capacità di modulare gli effetti della successiva risposta infiammatoria, che rappresenta uno dei fattori determinanti nella severità della malattia.
In Gran Bretagna, e prima ancora in Scozia, con disposizione governativa, è stata recentemente disposta la supplementazione di Vitamina D a 2,7 milioni di soggetti a rischio di COVID-19 (gli anziani, la popolazione di colore e i residenti nelle RSA) con un’operazione che alla Camera dei Comuni è stata definita “low-cost, zero-risk, potentially highly effective action”, e con il sostegno della Royal Society of London che la definisce “…seems nothing to lose and potentially much to gain”. In Italia, invece, ad oggi, si continuano a privilegiare i classici metodi e dispositivi di distanziamento e la ricerca di un vaccino efficace, evitando di attuare politiche sanitarie di tipo preventivo che, potenzialmente, andrebbero a moderare l’impatto del virus sulla popolazione, soprattutto su quella più fragile.
Aldilà di eventuali politiche sanitarie attuate a livello governativo o regionale, il colecalciferolo e l’ergocalciferolo possono essere anche assunti con la dieta, ma solo pochi alimenti, tra cui ad esempio l’olio di fegato di merluzzo, possono essere considerati buone fonti di Vitamina D. In caso di ipovitaminosi da Vitamina D, quindi, una corretta strategia preventiva comporterebbe l’esporsi quanto più possibile a fonti di luce naturale, con le dovute cautele e protezioni solari adeguate e, se ciò risultasse difficile o semi-impossibile per via della scarsità di raggi ultravioletti in certe stagioni e a certe latitudini, bisognerebbe integrare quotidianamente la Vitamina D con dosi fino a 4.000 U/I die, sempre sotto controllo medico. Anche se questo aspetto non è del tutto confermato, alcuni integratori propongono la sinergia tra Vitamina D e Vitamina K, perché quest’ultima, oltre a migliorare il fissaggio della Vitamina D a livello osseo, sembrerebbe favorirne l’assorbimento a livello intestinale».