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Sindrome metabolica, low inflammation e fattori di rischio cardiovascolare nel genere femminile

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Scritto da R C

Dr. Giorgio Crucitti, Medico Chirurgo, Specialista in Chirurgia Toracica, esperto in Medicina Funzionale Regolatoria, Medicina Ambientale e Neuralterapia.

«La sindrome metabolica è una condizione clinica in cui un soggetto presenta alcuni fattori che lo pongono in uno stato di elevato rischio cardiovascolare: iperglicemia, ipertensione, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia e sovrappeso/obesità sono segnali predisponenti ad ictus, infarti e patologie cardio-circolatorie», spiega il Dr. Crucitti. «Quando si verificano due o più di questi sintomi, in associazione ad un’elevata circonferenza della vita (>102 cm uomo e > 88 cm donna), di fatto, si innesca un processo infiammatorio che si autoalimenta: l’infiammazione di basso grado (low inflammation) cronicizza e, pur mantenendosi sotto la soglia del dolore ed essendo quindi “silente”, continua in realtà a creare danni a livello organico. L’eccesso di citochine pro-infiammatorie in circolo nell’organismo porta infatti, a lungo andare, ad aggravare proprio quei fattori che aumentano anche il rischio cardiovascolare».

Ma come si sviluppa il circolo vizioso che correla fattori di rischio cardiovascolare, obesità ed infiammazione?

«Oggi sappiamo che infiammazione e obesità sono assolutamente correlate e che lover nutrition è probabilmente uno dei maggiori fattori di infiammazione; l’adipe, infatti, alla luce delle scoperte più recenti, non viene più considerato un “tessuto”, bensì un vero e proprio organo in grado di modificare le nostre funzioni vitali, in modo particolare quelle neuro-endocrine, influenzando l’attività ormonale che presiede, nel caso specifico, anche alla risposta immunitaria e a quella infiammatoria. Le adipochine, molecole generate dalle cellule adipose, agiscono come veri e propri ormoni, immettendo nell’organismo sostanze pro-infiammatorie o antinfiammatorie; non è certo un caso che l’adiponectina, in grado ad esempio di migliorare la sensibilità insulinica e l’attività antinfiammatoria, sia presente in minori quantità nell’obeso rispetto al normopeso.

Un eccesso di grasso viscerale, che riveste gli organi interni ed è diverso rispetto al grasso sottocutaneo, per contro, aumenta il rilascio di sostanze pro-infiammatorie, le adipocitochine. I metaboliti dei grassi, inoltre, sono sostanze di scarto che, sovraccaricando di scorie il fegato, portano all’aumento dell’insulino-resistenza e quindi al diabete, ma condizionano anche la funzionalità muscolare e cardio-circolatoria, determinando ipertensione, ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia, tutti fattori pro-trombotici, che incidono sul rischio cardiovascolare, elevandolo.
L’accumulo di tossine che si depositano all’interno dei nostri tessuti di scambio inter-cellulare, e che gli organi emuntori (in particolar modo fegato e reni) fanno fatica a smaltire, alimenta a sua volta la low inflammation e, di conseguenza, anche i fattori di rischio per lo sviluppo della sindrome metabolica, innnescando un circuito vizioso che si autoalimenta.

Le donne, in questo frangente, che pure sembrano più al sicuro da ictus e infarti, sono, in realtà, maggiormente predisposte all’infiammazione silente, per via degli estrogeni, che hanno, di fatto, attività pro-infiammatoria. In modo particolare, nelle donne che presentano sovrappeso o obesità che vada ad aumentare il giro vita, il grasso viscerale agisce sull’enzima aromatasi, che è in grado di convertire il testosterone in estrogeni, innalzando ulteriormente il livello di infiammazione. In menopausa, poi, il calo fisiologico dell’estriolo, un tipo di estrogeno ad attività cardio-protettiva, contribuisce direttamente all’insorgenza dei fattori di rischio cardio-vascolare».
Quindi, come possiamo abbassare i livelli di low inflammation e tenere sotto controllo i fattori di rischio cardiovascolare? Come facciamo, in definitiva, a non sviluppare la sindrome metabolica?

«Direi che, in primis, il peso e, soprattutto, l’accumulo di grasso a livello viscerale, vanno tenuti sotto controllo; il primo fattore da monitorare è quindi l’alimentazione, che non deve però mai essere disgiunta da una regolare attività fisica e da abitudini di vita sane.

Oggi mangiamo troppo e male, consumando quantità eccessive di grassi e zuccheri raffinati, e i prodotti industriali sono alla base di questa catena alimentare squilibrata, che, pian piano, giorno dopo giorno, generano un processo infiammatorio cronico in grado di alterare lo stato di salute dell’intero organismo.
Un’alimentazione sbilanciata va quindi a modificare il nostro assetto ormonale, innescando le basi per quel processo infiammatorio “silente” che, alterando lo stato di salute, favorisce un aumento dello “stress ossidativo” generale dell’organismo; da qui l’insorgenza delle più svariate patologie degenerative e croniche, difficili da ricondurre direttamente ad una “dis-alimentazione” ma in cui la quantità e la qualità del “Food Intake” gioca un ruolo importante. Tra queste, anche il meccanismo che si scatena per un consumo eccessivo di carboidrati raffinati ad alto impatto sulla glicemia o le dislipidemie che alterano la risposta immunitaria ed ormonale a partire dall’eccesso di grasso addominale.

Oltre a tenere sotto controllo il peso corporeo e, nello specifico, la misura della circonferenza addominale, infine, possiamo ricorrere a fitoestratti ed enzimi specifici per ridurre l’infiammazione di basso grado in modo naturale e gestire meglio, di conseguenza, anche i fattori di rischio cardiovascolare. Possiamo integrare l’alimentazione con enzimi quali la Papaina e la Bromelina che, insieme alla Curcuma e alla Mirra, favoriscono l’azione “scavenger” delle molecole pro-infiammatorie, riducendo i livelli di infiammazione nei tessuti. Senza dimenticare la Nattochinasi, un enzima derivato dalla fermentazione della Soya, a spiccata attività fibrinolitica, ossia in grado di fluidificare il sangue e dunque anti-trombosi. La Bromelina e la Papaina, ad azione antiedemigena e antinfiammatoria sono estratti rispettivamente dal gambo dell’ananas e dal frutto della Papaya, mentre la Curcuma, dalla spiccata componente antinfiammatoria, viene estratta dal rizoma della Curcuma longa. Anche la Mirra, infine, può vantare capacità antinfiammatorie ed analgesiche fin da quando l’estratto di Mirra da Commiphora myrrha fu inserito nella Farmacopea Europea nel 2014», conclude il Dr. Crucitti.

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