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L’estate più attesa è sempre quella in arrivo…

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Scritto da R C

Negli ultimi 18 mesi della nostra vita abbiamo dovuto esercitare, nostro malgrado, una virtù, spesso poco considerata tale in quest’epoca, la pazienza.

Negli ultimi 18 mesi della nostra vita abbiamo dovuto esercitare, nostro malgrado, una virtù, spesso poco considerata tale in quest’epoca, la pazienza!

Pazienza che, inevitabilmente, implica il concetto di attesa. In modo particolare, dopo un inverno in cui i lockdown si sono succeduti al coprifuoco, le aperture alle chiusure a causa delle norme anti-covid, abbiamo sicuramente riscoperto, insieme alla necessità di esercitare la pazienza, anche il significato dell’attesa. Adesso che la situazione sembra avviarsi verso la normalità, come in effetti era accaduto anche la scorsa estate, non vediamo l’ora di rituffarci nelle abitudini che fino a un anno e mezzo fa facevano parte della nostra vita: viaggi, cene con gli amici, serate sul lungomare o sotto le stelle in alta montagna.

Eppure, a ben pensarci, forse la vita è spesso, e per molti di noi, un insieme di attese, più o meno pazienti… L’attesa in coda sulla tangenziale, l’attesa del tram col quale ci recheremo in ufficio, quella del fine-settimana per fare qualcosa di diverso o per riposarci, quella dell’occasione lavorativa che ci cambierà per sempre…l’attesa di un amore, oppure di un figlio… Siamo perennemente in attesa, a volte spazientiti, con la sensazione che si stia perdendo, tra un’attesa e l’altra, la vita vera…

Il fatto è che l’attesa, fin dalla notte dei tempi, ci pone in una condizione di duplicità e ambiguità, a livello psicologico. Da un lato, infatti, l’attesa rappresenta l’incognita, il dubbio. “cosa succederà?…Quando terminerà l’attesa?”; dall’altro, la tensione verso il futuro, la speranza. “l’attesa non sarà vana…”. L’attesa può dunque essere contemporaneamente bella e snervante. E non solo per la tipologia di evento che stiamo aspettando si verifichi, positivo o negativo, ma anche perché si tratta, comunque vada, di una fase in cui sperimentiamo una certa mancanza di controllo che ci destabilizza e può renderci insicuri. Ecco perché insieme all’attesa si potrebbe presentare l’ansia o anche un senso di vuoto nel momento in cui, dopo aver desiderato tanto una certa situazione, questa si verificasse deludendo in tutto o in parte le nostre aspettative.

Un interessante studio inglese ha calcolato il limite massimo di attesa: che si tratti di un call center o del cameriere al ristorante, in media, si perde la pazienza dopo soli 8 minuti e 22 secondi. Al computer, la soglia si abbassa ulteriormente: è stato dimostrato, infatti, che se si aspetta più di 1 minuto per un download, l’umore inizia ad alterarsi, raggiungendo il picco negativo dopo 5 minuti e 4 secondi di attesa.

Questi risultati sono indicativi del fatto che, nella società attuale, la percezione del tempo ha subìto un cambiamento radicale, un’accelerazione moltiplicata all’ennesima potenza, portandoci ad essere costantemente proiettati al futuro, sempre ansiosi per delle scadenze in arrivo o per degli impegni da rispettare.

Eppure, “attendere” deriva dal latino “ad tendere”, ovvero “tendere a, tendere verso” e, vista l’etimologia, dovrebbe rappresentare un momento di proiezione verso un desiderio, che è già di per se stesso una finalità, una concretezza, e come tale va goduto, a prescindere dall’obiettivo ultimo. Detto in altri termini, “il viaggio vale più dell’arrivo”. Per rendercene conto, basterebbe rinunciare alla necessità costante di voler avere tutto sotto controllo, e tutto scadenzato, per riscoprire il vero significato dell’attesa. Essere pazienti vuol dire quindi “saper aspettare”, attendere silenziosamente, ma in maniera attiva, che la vita ci chiami a svolgere compiti per i quali abbiamo avuto il tempo di prepararci o a degli incontri significativi che richiedono di essere vissuti in profondità e con consapevolezza. In termini pratici, se, per esempio, stiamo aspettando di rivedere una persona o di raggiungere un luogo, dovremmo smettere di pensare unicamente al momento in cui ci sarà l’incontro, oppure l’arrivo, per concentrarsi nel “pre”, utilizzandolo non come “tempo morto inutile” ma come occasione per ascoltare le nostre emozioni e per accettarle. L’attesa può diventare, infatti, non un problema, ma piuttosto come una magnifica occasione per conoscerci meglio, capire cosa vogliamo, perché ci affanniamo a correre di obiettivo in obiettivo invece di vivere ogni istante per ciò che rappresenta, ovvero un attimo unico e irripetibile. Non un’attesa perenne, ma un “adesso”.

Anche nelle relazioni è fondamentale saper attendere: tutti abbiamo tempi emotivi ed interiori diversi e saper adeguare i nostri bisogni di risposte anche sui ritmi altrui, magari più “lenti”, sapendo aspettare, può farci scoprire, attraverso un vero atto di amore e fiducia, come la costruzione dell’intimità e della reciprocità richieda tempo. Per esercitare la nostra capacità di attendere in modo attivo, sono utili alcune pratiche, tra le quali il rilassamento, la meditazione o il training autogeno, che ci allenano ad “andare piano”, dando il giusto valore ad ogni singolo istante.

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